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      Ragionava così ma sempre agitato; bastò una prima giornata di lavoro lungo, noioso e non riuscito per fargli perdere la calma. Gli era stato spiegato il modo col quale doveva trarre le registrazioni dal giornale e portarle nel maestro, un lavoro di copiatura lungo ma facile. Ogni sera però egli doveva fare la somma delle cifre registrate in quel giorno e doveva pareggiarsi il complesso dell'avere col complesso del dare. Subito il primo giorno la prova non riuscì e tanto Miceni quanto Marlucci, dopo di averlo aiutato per qualche tempo a cercare gli errori, avevano rinunziato a trovare, come essi dicevano, il pareggio, e se ne erano andati. Miceni prima di uscire, dolente di aver perduto tanto tempo, aveva esclamato:
      — Chissà quale specie d'errori sei riuscito ad inventare quest'oggi.
      Ancora per qualche tempo egli continuò a confrontare le partite, ma non scoperse un solo degli errori che dovevano esservi e s'avvide che quel lavoro lo aveva esausto e che non gli riusciva di metterci tanta attenzione quanta era necessaria per confrontare due cifre. Allora si rammentò che aveva detto a Cellani di voler andare da Maller a lagnarsi dell'ingiustizia che gli era stata fatta. Non aveva rinunziato a quello sfogo e si disse che non era andato subito dal principale per non disturbarlo nelle ore di lavoro, ma che non aveva mai pensato di subire senza protestare l'ingiustizia che gli era stata fatta. Le noie ineffabili di quella giornata gli erano state procurate da quella. Anziché portarsi a casa l'inquietudine per il lavoro non definito, preferiva pigliarsi un'agitazione di altra specie.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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