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      IUNA FAVOLA POLITICA
     
     
     
     
      LA TRIBÙ
      ILa tribù s'era fermata. Aveva trovato in mezzo al deserto un vasto paese ricco d'acqua, di prati e d'alberi, e, involontariamente, senza che nessuno lo proponesse, invece di farvi una delle solite soste fugaci, aveva messo radice in quel paradiso, era stata avvinghiata dalla terra e non aveva più saputo staccarsene. Pareva fosse giunta a quel grado superiore di evoluzione che esclude la vita nomade; riposava della marcia secolare. Le tende lentamente si mutarono in case; ogni membro della tribù divenne proprietario.
      Corsero gli anni. Alì, un guerriero inquieto, refrattario alla nuova vita, sellò il cavallo e galoppò da una parte all'altra di quello ch'egli s'ostinava di chiamare accampamento, gridando:
      «Io proseguo, seguitemi».
      «E chi ci porterà dietro la nostra amata terra?» domandarono i più.
      Soltanto allora tutti ebbero coscienza d'essere legati per sempre a quel pezzo di terra, e Alì partì solo.
      IIIl vecchio Hussein era chiamato a decidere una questione insorta fra due proprietari di terreni limitrofi. La questione era complessa di molto. Uno dei due diceva spettargli anche una parte del raccolto dell'altro, perché per errore l'aveva lavorato; la colpa poteva essere dell'altro, che non aveva saputo imprimere sul terreno i segni del proprio diritto.
      Hussein lungamente meditò, poi disse: «Consulterò le leggi della tribù».
      Il giorno appresso, nel Consiglio degli anziani, dovette dichiarare che la legge non prevedeva quel caso. Era la prima volta che un coltivatore chiedeva giustizia, perché prima non c'erano stati coltivatori.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Hussein Consiglio