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      L'uomo, elevato da tanta sventura, aspirerà a un nuovo ordine di cose. I diseredati, uniti dalle fabbriche - la loro sventura - si coalizzeranno e, pieni di speranza, vedranno avanzarsi i nuovi tempi e vi si prepareranno. Poi, giunti i nuovi tempi, il pane, la felicità e il lavoro saranno di tutti».
      «E questi nuovi tempi, li sai tu predire nei particolari, nelle leggi?» domandò Hussein ansioso.
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      «Ho tanto viaggiato» rispose Achmed «e non trovai sinora alcun paese che fosse giunto a tale elevata organizzazione. So dirvi questo soltanto: In quel lontano avvenire la terra sarà della tribù e tutti i validi dovranno lavorarla. I frutti saranno di tutti. Non cesserà la lotta, perché dove è vita è lotta, ma la lotta non avrà per iscopo la conquista del pane quotidiano. Questo sarà il diritto, come oggi l'aria. Il vittorioso nella lotta non avrà altra soddisfazione che d'aver servita la tribù».
      «E dovremmo attendere sì a lungo per raggiungere tanta felicità?» gridò Hussein con voce tonante. «Ti sei meritati i tuoi interessi degli interessi», aggiunse rivolto ad Achmed. «Sappi che la tribù vuole incominciare dalla fine».
      Achmed si felicitò d'essere stato tanto abile e incassò il proprio oro. Lo contò e pensò che bastava per fondare la fabbrica, l'oggetto dei suoi sogni, e proprio in mezzo alla tribù che lo pagava nel convincimento d'essere sfuggita alla fabbrica.
      XIUn europeo, stanco della sventura del proprio paese, bussò un giorno alla porta di Hussein e chiede d'essere ammesso a far parte di quella tribù felice.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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