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      Era stato un grande sforzo della sua piccola mente e una buona volta riuscito Gerardo ne visse bene fisicamente e benissimo moralmente. La moglie che si vedeva concessa la domestica, due o tre vestiti all'anno ed una tavola ricca lo adorava e lo ammirava. Gerardo faceva del bene a molti e non domandava neppure riconoscenza. Camminava la via un po' troppo pettoruto ma molti lo amavano, pochi dal suo orgoglio mite di negoziante di vino fortunato si sentivano lesi. C'era a questo mondo del posto per tanti altri orgogli altrettanto legittimi! Spesso Gerardo con un sincero accento d'ammirazione riconosceva i meriti altrui. Diceva al lustrino che stazionava davanti alla sua casa: «Tu sei il migliore lustrascarpe di questo mondo!». Alla cuoca: «Nessuno sa preparare il baccalą pannato come te!». Alla moglie: «Io so far denari e tu sai risparmiarli!». Ecco che molti erano soddisfatti di quella felicitą di Gerardo.
      Vincenzo invece era assorto nella contemplazione della propria grandezza futura. Il padre aveva avuta una sola buona idea ma egli doveva a quel padre e a quell'idea la felicitą della propria vita. Se quel padre non avesse avuto quell'idea ecco che Vincenzo sarebbe stato attaccato da lungo tempo all'aratro accanto a qualche altro asino. Ma egli era tediato da quel piccolo orgoglio che gli sembrava strano, spropositato. Il padre troppo spesso parlava della fiducia che in lui riponevano altri negozianti o consumatori di vino. «Quando il vino passa per le mie mani aumenta di sapore e di valore». Per le mani pulite di Vincenzo invece non passava niente e per la sua testa la propria immagine convertita in quella di un grande ammirevole condottiero.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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