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      Uno dei più anziani un giorno giurò ch'egli la madre l'avrebbe trovata non volendo più restarne privo. Era il solo che nel pollaio fosse battezzato e si chiamava Curra, perché quando la contadina col becchime nel grembiale chiamava curra, curra, egli era il primo ad accorrere. Era già vigoroso, un galletto nel cui animo generoso albeggiava la combattività. Sottile e lungo come una lama, esigeva la madre prima di tutto perché lo ammirasse: la madre di cui si diceva che sapesse procurare ogni dolcezza e perciò anche la soddisfazione dell'ambizione e della vanità.
      Un giorno, risoluto, Curra con un balzo sgusciò fuori dalla siepe che, fitta, contornava il giardino natìo. All'aperto subito sostò intontito. Dove trovare la madre nell'immensità di quella valle su cui un cielo azzurro sovrastava ancora più esteso? A lui, tanto piccolo, non era possibile di frugare in quell'immensità. Perciò non s'allontanò di troppo dal giardino natìo, il mondo che conosceva e, pensieroso, ne fece il giro. Così capitò dinanzi alla siepe dell'altro giardino.
      - Se la madre fosse qui dentro - pensò - la troverei subito. - Sottrattosi all'imbarazzo dell'infinito spazio, non ebbe altre esitazioni. Con un balzo attraversò anche quella siepe, e si trovò in un giardino molto simile a quello donde veniva.
      Anche qui v'era uno sciame di pulcini giovanissimi che si dibattevano nell'erba folta. Ma qui v'era anche un animale che nell'altro giardino mancava. Un pulcino enorme, forse dieci volte più grosso di Curra, troneggiava in mezzo agli animalucci coperti di sola peluria, i quali - lo si vedeva subito - consideravano il grosso, poderoso animale quale loro capo e protettore.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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