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      Essa attaccava il suo amante proprio per la sua caccia e la sua pesca, le sue sole attività: «Assassino e carattere d'assassino!». Ammazzava tutto il giorno e non sapeva neppur mangiare la selvaggina. La rifiutava proprio come fa il cane da caccia cui somigliava. «Ma non potevi restare nel tuo Abruzzo?».
      Cima sorrideva: «Nell'Abruzzo non ci sono tante bestie come qui». E, contento di aver trovata la buona risposta, attaccava: «Ma tu l'ami la selvaggina?».
      «La comprerei» confessava Antonia. «Ma non saprei ucciderla. Povere bestiole! Io le mangio quando altri per malanimo le uccise. Che si può fare allora?».
      Io mi mettevo di mezzo per far accordare chi uccideva la bestia e chi la mangiava e avevo anche un gioco abbastanza facile. Antonia fra gli amici del suo amante mi prediligeva perché mi sentiva differente da lui. Cima, poi, non soffriva di gelosia. Lui era molto distante dall'idea che un uomo fidato com'ero io avrebbe potuto insidiare la sua donna. Ammazzava tante bestie, ma viveva nel mondo morale in cui era nato con la sicurezza con cui certi animali vivono nella palude ed altri sul mare. Non discutono costoro per scegliere uno o l'altro. Egli si figurava che un uomo ch'era suo amico, quando avesse voluto amare, si sarebbe cercata un'altra donna e non la sua. A me Antonia piaceva e mi dilettavo di sentire la sua predilezione per me. Era poi già un poco mia perché era triestina. Egli rideva dei suoi modi di dire. Io li amavo, e li avrei baciati come uscivano da quella bocca rosea.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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