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      Un giorno Giacomo fece un affare d'oro. Una quarantina di loro lui compreso aveva assunto a contratto la falciatura di un vasto campo. Doveva esserci lavoro per una quindicina di giorni. Avevano eletti dei capi ma i poteri di costoro non erano ben definiti. Giacomo non mancava di puntualità e alle quattro del mattino era sul posto. Cominciò col protestare contro la scelta della parte da cui si doveva cominciare. Di mattina si doveva volgere la schiena al sole. Aveva ragione ma i quaranta uomini dovettero così camminare per un buon quarto d'ora per portarsi al lato opposto ch'era il più distante dal villaggio. Poi cominciò a rifiutare la falce che gli era stata attribuita. In genere egli le preferiva a manico singolo e faceva propaganda perché anche gli altri le preferissero. Poi, presto, troppo presto, sentì il bisogno d'aguzzare la falce. Propose diversi istituti del tutto nuovi su quei campi. Due dovessero essere adibiti il giorno intero ad aguzzare le falci. Quando egli non lavorava s'adirava che i suoi vicini a destra e sinistra continuassero il lavoro. Nascevano irregolarità che non potevano essere utili al buon andamento del lavoro. Quello era notoriamente un lavoro che bisognava fare insieme o non farlo. Altrimenti il povero diavolo che restava indietro, senza sua colpa, poteva falciare le gambe del suo compagno troppo zelante. I capi guardavano esterrefatti la faccia di Giacomo magra, mai sbarbata, arrossata dal sole e da una sincera indignazione. Era un uomo in buona fede costui e non c'era verso di arrabbiarsi con lui!


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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