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      Così non passava carro ch'egli non criticasse il modo com'era caricato. Veniva mandato a quel paese ed egli continuava le sue peregrinazioni senza abbadarci troppo. Se però credeva d'avere ragione allora era capace di farsi fare in due ma le sue ragioni doveva dirle. Egli aveva dovuto passare accanto ad un carro caricato tanto in alto ch'egli avrebbe potuto esserne schiacciato. Allora alzava la voce ed il suo sonoro dialetto celta pigliava delle andature epiche. Era capace d'appellarsi anche ai carabinieri. E gli serviva solo di pretesto il pericolo da lui corso. La ragione intima che lo animava era l'odio per il lavoro male organizzato. E mi raccontava: «Quando si nasce disgraziati! Io non feci mai del male a nessuno e tutti mi odiano perché voglio mettere ordine e perché non posso soffrire un lavoro male iniziato!». Non era la prima volta che veniva a Udine; era la seconda. Ci venne la prima volta in cerca di un po' di riposo: Udine era una città abbastanza popolosa ed egli avrebbe potuto riposare prima che tutti l'avessero preso in odio.
      Fu l'offerta di un posto straordinario che gli venne dal suo paese natio per cui lasciò la prima volta Udine. «Si trattava di un lavoro» mi confessò candidamente «in cui non c'era niente da fare. Ora a me il lavoro piace ma pensavo che se trovavo un lavoro pel quale non occorreva lavorare doveva certo essere un lavoro ben organizzato e perciò lo accettai con entusiasmo». Lasciò Udine e con dieci ore di buon cammino raggiunse il suo paese natio.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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