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      Diceva delle parole difficili tedesche che io non avrei saputo pronunziare. Si poteva ridere di questa notizia ma non si poteva sorvolarla. Intanto non era una cosa che la valle raccontava alla montagna - come tutte le notizie politiche e sociali - tanto per ciarlare visto che la montagna non c'entrava per nulla. Era una notizia che concerneva me quanto le persone vive laggiù.
      Non so se io, colpito, mi sia mosso, ma, a mia sorpresa, Argo alzò la testa dal tappeto e mi guardò. Aveva sentita anche lui la notizia che lo riguardava? Lo guardai anch'io e nel mio occhio doveva esserci per lui un'espressione tanto nuova che, inquieto, si rizzò sulle gambe anteriori per studiarmi meglio. Stornò subito il suo davanti al mio occhio inquisitore con quella vigliaccheria che c'è nello sguardo del cane, l'unico segno che la sua sincerità è meno intera di quanto si supponga. Ritornò a me e, battendo ora un occhio ora l'altro - movimento tanto comico perché si deve supporre che lo stupido animale alterni quel movimento per evitare di restar cieco anche per un solo istante - tentò di sostenere il mio sguardo. Poi, ipocritamente, guardò intento verso un canto della stanza ove non c'era nulla da vedere. Infine trovò una linea di mezzo fra me e il cantuccio così che poteva sorvegliarmi senz'affrontarmi.
      La notizia del giornale m'aveva liberato da ogni noia. Sottolineata e confermata dalla pantomima di Argo non potevo più dubitarne: La notizia era vera. Argo sapeva parlare e taceva per sola ostinazione.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Argo Argo