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      Ma io non seppi restare privo di lui se non quando dormivo. Talvolta lo scoraggiamento interrompeva le lezioni. La stessa ira mi faceva poi riprenderle: Dovevo pur vendicarmi di tanta imbecillità.
      Nello stesso tempo mettevo la stessa disperata tenacia ad educare me stesso al compito impari. Spiai la bestia per scoprire se dovevo prenderla per il muso o per la coda. Raccolsi ogni suono ch'essa emetteva e quel suono m'accompagnava di giorno e di notte. La lotta fu lunga tanto contro la bestia quanto contro me stesso, ma il risultato fu un trionfo.
      Cioè devo dire che fu un fiasco se non dimentico che il mio primo intendimento era stato d'insegnare ad Argo l'italiano. Argo non seppe mai dire una sola parola italiana. Ma che importa? Si trattava d'intendersi e perciò non c'erano che due possibili vie: Argo doveva apprendere la lingua mia oppure io la sua! Come prevedibile, dalle lezioni che ci davamo a vicenda, apprese di più l'essere più evoluto. L'inverno era ancora al suo apice ed io intendevo la lingua di Argo.
      Non è mia intenzione d'insegnarla ai lettori e mi mancano anche i segni grafici per notarla. Del cane, poi, non è importante la sua povera lingua ma il suo vero carattere che io primo a questo mondo intravvidi. Parlandone, ne sono superbo come potevano esserlo coloro che prima di me scopersero altri lembi di natura: Volta, Darwin o Colombo. Argo mi fece le sue comunicazioni mansueto e rassegnato. Io le raccolsi e le lasciai nella loro forma originale di soliloqui perché tali rimasero visto che io non feci dei progressi tali in quella lingua da poter discutere con lui le sue comunicazioni.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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