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      Poi son io che scopro la preda raggiunta ed il padrone l'abbatte. Ora essa giace là. Prima essa sapeva trattenere una parte del suo odore nel suo sacco di pelle e di pelo; ma ora che il sacco è squarciato la bestia è sincera. Comunica alla terra e all'aria tutta se stessa e intorno a lei tutto si avviva.
      Correndo, quel giorno, sentivo di perseguire una bestia già sincera ciò che mi stupì perché le bestie sincere non sanno più correre. Sulla via si movevano un uomo e un piccolo omino. Li sorpassai e perdetti la traccia! Il vento era vuoto e muto. Ritornai sui miei passi e non ritrovai la traccia che quando giunsi dietro ai due uomini. Era evidente che l'odore di preda emanava da uno di quei due. Infatti dalla schiena del maggiore pendeva una bisaccia e in quella, sporgendone con la testa insanguinata, c'era la lepre. Certo, son sempre io che levo la lepre e altri la piglia, ma questa io non l'avevo neppure levata e sapevo perciò benissimo che non era mia.
      Non c'era però ragione di non goderne. Io mi misi a saltellare intorno ai due uomini ed il più piccolo di essi mi accarezzò. Fiutai con l'odore della preda anche il suo che diveniva sempre più amico e benevolo e lo seguii. Ebbi qualche esitazione tanto più che ad un certo momento mi parve di sentire il fischio del padrone. Ma il suo odore non c'era e potevo essermi sbagliato.
      L'omino dall'odore più dolce continuava ad accarezzarmi affettuosamente, e quelle carezze accompagnavano il suo odore. Anzi le carezze e l'odore finirono con l'essere una cosa sola.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387