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      Ora, ogni volta che passo accanto a quella bestia, per fargli sentire lo svantaggio della catena, lo provoco a debita lontananza. Egli addirittura perde la voce dall'ira. Io non m'avvicino di troppo. Non c'è scopo! Si può lasciarlo padrone di quel pezzo di terra. D'altronde è molto forte e ha il collo protetto da troppo pelo. Non capisco come ha potuto ribaltarmi con tanta facilità. La catena deve aiutarlo.
      Ed Argo ha anche altri dolori che il resto del mondo non sa e non sente. Quando vede il padrone che carezza un altro cane, egli vuol bene al padrone più del solito, ma un bene fatto di dolore. Perché accarezza altri? Non ha me? Forse lo fa perché Argo sia più buono ed infatti se in quell'istante volesse qualche cosa da me, obbedirei più presto che di solito. Ma egli di me non vuole e accarezza l'altro. L'odio per quest'altro è fatto anch'esso di dolore. Non è permesso di sbranarlo perché c'è il padrone eppoi ho paura di fargli vedere la mia ira perché potrebbe gioirne. Io mi caccio fra quell'intruso e il mio padrone per dividerli perché se sono divisi non soffro più e vado fra di loro come per caso. Il padrone mi scaccia ma io ostinatamente continuo ad invadere quel piccolo tratto di terreno e scodinzolo simulando una gioia che sono ben lontano dal sentire. Perché questo è il dolore: Vorrei ululare per sollevare l'animo mio ma allora non ci sarebbe più la speranza di allontanare quella brutta bestia dal mio padrone. Bisogna celare il dolore e procurare di tornar gradito. Poi quando l'altro finalmente se n'è andato, io ritrovo intero il mio padrone e il suo odore.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Argo Argo Vorrei