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      Alessandro era un uomo sorridente che amava di raccontare barzellette e Marianno inconsciamente lo adulava fermando il lavoro e standolo ad ascoltare. Era bello cessare di squadrare doghe! Il coltellaccio gli pesava nella piccola mano! E del mestiere di bottaio non gli fu insegnato altro che squadrare doghe e segarle. Ne squadrò e segò a montagne di quelle grezze e nodose di resina. Alessandro era quarantenne e si vedeva invecchiare. Non avendo che una figlia aveva pensato di andarsi a cercare un aiuto all'Ospizio. S'era innamorato dei riccioli biondi e dei buoni occhi azzurri di Marianno. L'aveva scelto come al mercato. Poi anche Berta per varii anni volle bene al fanciullo. E molti anni dopo Marianno ricordò una sua malattia e le cure che gli furono prodigate. Si rivedeva giacere esausto in un letto bianco nella stanza più luminosa della casa. Mamma Berta gli faceva degli impacchi alla testa scottante e Alessandro correva su ad ogni tratto da bottega a vedere come andava. Gli veniva accanto al letto col traversone di lavoro e gli raccontava barzellette per incuorarlo. Anche nella febbre Marianno sorrideva ma ogni parola che gli si diceva batteva sulla sua testa come il coltellaccio sulle doghe. Ma sorrideva e Alessandro chiamò Berta per farle vedere come sorrideva e Berta lo baciava dalla contentezza. Poi finalmente se ne andarono e Marianno veniva lasciato solo col suo delirio. Vogava solo in un sandolo popparino di quelli che esigono dal vogatore tanta forza e tanto equilibrio.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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