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      Usciva da un rio stretto e arrivava al Canalazzo che il sole inondava di luce e di calore. E il suo sandolo correva come se egli gli avesse dato un impulso troppo forte o che l'acqua lo trascinasse; egli sciava ma i suoi sforzi non servivano e presto gli sarebbe scappato di mano il remo. Un vaporino s'avanzava proprio verso di lui e accanto al suo sandolo un gondoliere eretto e calmo sul suo remo diceva: «El voga inveze de tetàr». Marianno si mise ad urlare dallo spavento e dalla vergogna. Berta pronta si chinava a lui e per molti anni in famiglia si rise delle parole che Marianno aveva dette: «Aiuto! El remo me scampa de man!». A convalescenza finita Alessandro gli disse: «Mola el remo e tol el cortelazo!». Proprio dopo questa malattia ci fu una piccola ombra fra lui e la sua famiglia adottiva. Il ragazzino avrebbe amato di vedersi continuare le cure che gli erano state prodigate durante la sua malattia. Ma Alessandro aveva bisogno di lavoro. Il ragazzino che in dicembre al tramonto avrebbe voluto andare a casa aveva abbandonato la doga su cui lavorava e, copertasi la faccia con ambedue le mani, s'era messo a piangere. Oh! com'era bella la malattia e come i sani erano infelici perché dovevano lavorare. Anche Alessandro cessò di lavorare per tenergli una predica che non voleva finire più. Marianno era stato accolto in casa loro per pietà. Che cosa sarebbe avvenuto di lui se loro non ne avessero avuto pietà? Poi s'era ammalato e loro lo avevano curato: Il medico aveva costato.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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