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      La faccia oblunga e gialla con due occhietti da giapponese contornati da rughe prodotte da quello sforzo per vedere per cui vengono tesi dei muscoli vicini che non servono, i capelli ricci come quelli dei mori, il corpicino esile, Menina non avrebbe dovuto compiangere il forte e bel Marianno. Ma come si fa a non compiangere chi non aveva neppur conosciuta la propria madre? E Menina aveva un'aria di protezione che commoveva Marianno. Si battevano qualche volta per quistioni di giuoco sulla via e regolarmente Marianno lo stendeva a terra e lo picchiava come se fosse stato un cerchio di barile. E il povero Menina si rialzava diceva di non aver visto, di essere scivolato e così via. Ma poi concludeva con un'aria di comica ragionevolezza: «Già il torto l'ho io che ho voluto picchiare te che non hai madre». E affettuosamente tirava a sé il bel giovinetto biondo della cui amicizia andava superbo. Certo l'influenza di Menina non fu buona perché mise in bocca a Marianno delle parole che resero più fredde le sue relazioni con mamma Berta. Ma questa mancanza di madre non fu sentita che quando egli si trovava accanto ad Adele la quale per avere una madre aveva anche un destino migliore del suo. Infatti Adele passò la convalescenza per metà della giornata nel suo lettino addobbata degli ori della madre, il manin, di oro di zecchino al collo, i grandi orecchini di oro alle orecchie, tutta lucciante insomma come una Madonnina. E Marianno in un momento in cui voleva meno bene ad Adele disse a Berta di ricordare che la propria convalescenza era stata altra.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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