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      Mamma Berta infuriò contro il piccolo sfacciato concorrente di sua figlia e con la sua lingua viperina confermava le teorie dei Menina. Alessandro a bottega lo rabbonì. Non si trattava di avere madre o di non averla. Si trattava di nascere maschio o femmina. Gli uomini facevano la convalescenza in bottega e le babe in letto. Guardasse Menina che ritornava ogni sera a casa coperto di catrame dal piccolo cantiere ove era impiegato; anzi di quel catrame non arrivava a liberarsi mai. Il loro mestiere era ben migliore perché almeno le doghe non andavano a coricarsi con loro e restavano ad aspettarli in bottega. Marianno non era tanto d'accordo nell'elogio del loro mestiere e guardava sconsolato il monte di doghe che lo aspettava e che non voleva andar via. Ce n'erano di quelle piene di nodi sui quali il coltellaccio sonava come sulla pietra, altre avevano la venatura alternata e abbisognavano di colpi ripetuti in tutti i versi per assottigliarle e ce n'erano di quelle che parevano regolari e invece il coltellaccio le divideva fuori di posto lasciando Marianno che pur aveva calcolato il colpo stupito e malcontento. E del resto quand'erano battute emettevano una polvere di resina che impiastricciava la faccia e metteva in bocca un sapore amaro da cui era difficile liberarsi. Il mestiere di Menina doveva essere più gradevole. Certo più bello di tutti era il mestiere del frittolino ed egli giacché non aveva madre avrebbe voluto nascere figlio di quella che aveva la bottega vicino alla loro Calle e smerciava ogni giorno quintali di polenta e quintali di pesce fritto.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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