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      La doga era una unità un po' dura e pesante e più oltre egli non arrivò. Egli presto scoperse di sapere più e meglio di quanti lo contornavano e questa scoperta contribuì a fargli cessare i suoi sforzi. Continuava a baloccarsi con quanto sapeva ma non tentò di procedere. Gli mancava ogni visione della via da percorrere. Neppure la maestra di Adele a quanto raccontava la fanciulla sapeva fare le moltipliche con la rapidità di Marianno; dunque egli era arrivato alla meta.
      La monotonia della vita di bottega era interrotta da una o due gite che si facevano ogni mese per andare a prendere doghe e cerchi. Alessandro vogava sulla grossa buria a poppa. Non dirigeva bene la barca e dov'egli passava sorgevano quistioni. Egli che non voleva mai intendere le ferree regole del rio si meravigliava che con lui tutti volessero aver ragione. Già! Lo vedevano debole! In barca si sentiva abbastanza sicuro ed era anche capace di lanciare delle insolenze, un po' masticando ma le diceva. Aveva in certo qual modo la convinzione che nei rii non si potesse procedere senza bestemmiare. Quello che non aveva capito era che per procedere bisognava anche vogare pur essendo a poppa. Egli si spingeva da un palazzo all'altro con le mani o coi piedi e il remo si moveva proprio soltanto quando le sue membra non servivano.
      Marianno vogava ma senza troppo affannarsi. Egli non amava quella gita. Preferiva le Calli affollate ai rii deserti e guardava con desiderio la folla di gente che passava sui ponti. Le due città di cui una lieta e affollata e l'altra triste e dura s'incontravano per brevi tratti.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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