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      Anche questa scena rimase impressa a Marianno. Il povero Alessandro non arrivava a capire bene. Dubitava della verità della comunicazione. Aveva i sudori freddi alla fronte. Volle mostrarsi disinvolto e ironico: «Gavé trovà el modo de far rodolar le casse?». Poi però sentendo che gli minacciava un colpo andò ai suoi ordigni in fondo alla bottega e disse a Marianno di parlar lui perché egli cominciava a non capire più niente. «No segàr quella doga perché no ghe ne gavemo più bisogno!».
      Marianno che aveva allora quattordici anni si mise di buona volontà a parlare con l'impiegato. Egli non intendeva bene l'importanza che Alessandro attribuiva alla comunicazione del loro cliente. Si figurava che a questo mondo si sarebbero fatti sempre dei barili, nel modo che li facevano loro; anzi il difetto era che il mondo ne domandava troppi di barili.
      L'impiegato, un giovinotto cortesissimo però più disposto a ridere che a piangere ripeté volentieri la sua missiva a Marianno che sorrideva anche lui incantato di vedersi divenuto uomo d'affari.
      Marianno aveva capito e gli pareva che non ci fosse nulla a ridire. La ditta di Murano non voleva altri barili; perciò non bisognava dargliene altri. Si rivolse al padrone per vedere se volesse suggerirgli qualche cosa.
      Alessandro sentì il bisogno di arrabbiarsi e se la prese con Marianno che non intendeva quale torto enorme fosse fatto alla bottega. Dopo ch'egli aveva servita la fabbrica per più di mezzo secolo veniva gettato in disparte come un ferro consumato.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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