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      A questa di faccia lontana dalla riva invece la casa dell'operaio Cimutti dava qualche indizio di vitalità. A pianterra ardeva una fioca lucerna e sul focolare stentava ad accendersi il fuoco.
      Poi la porta s'aperse e ne uscì Cimutti un uomo ancora giovine, magro, dalla piccola testa coperta fittamente di capelli neri, corti. Con lui entrò nel panorama il freddo. Batteva - per scaldarsi - i piedi, e lanciava in croce le braccia.
      Doveva avere l'abitudine di parlare ad alta voce. Gettò un'occhiata d'antipatia alla casa padronale e disse: «Se quell'impiastro fosse alzà se poderave averzer el magazzen e stivar i barili». In quella chetamente la porta dell'abitazione padronale si aperse senza cigolare e ne uscì il signor Giulio. Doveva essere sulla quarantina, alquanto grasso e floscio, una faccia rotondetta, mite, con due buoni occhi azzurri un po' incerti. Cimutti lo salutò sorpreso di vederlo alzato e gli disse: «Giusto pensavo che gaveria podesto pensar a stivar i barili nel magazzen...». L'altro lo interruppe: «Altro che stivare i barili! Mi sono ricordato che l'acqua cala e che iersera abbiamo dimenticato di tirar fuori la barca. Se ritardiamo ancora ci avviene come un mese fa che fino alle 10 siamo rimasti senza barca». Cimutti che aveva benché rispettosamente sempre una tendenza all'obbiezione: «Oh! l'acqua cresce!». Il freddo e il dispiacere di aver dovuto abbandonare sì di buon'ora il letto resero impaziente il signor Giulio. Divenne parolaio perché uso a vincere la lieve resistenza che sempre incontrava in Cimutti: «Andiamo!


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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