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      Di lì a poco i vaporini sarebbero passati sull'enorme canale fra la chiesa e la palude. Il cimitero celato dal muro di cinta avrebbe potuto secondo il signor Giulio celare qualche cosa di più lieto: Egli non ci aveva nessuno dei suoi che riposavano tutti all'asciutto a S. Anna di Trieste. Egli aspirò con voluttà la fredda aria mattutina. Quelle cose: La palude, i canali, il battisterio bianco di S. Micel e anche quel muro rosso che s'ergeva dall'acqua o dal fango erano i suoi cari compagni da quattr'anni. Il suo principale lavoro era stato di guardarli e studiarli ed anche di sognarvi su. Come sarebbe stato bello che tutta la chiesa avesse avuto il colore del battisterio, di marmo bianco. L'oasi di disegno umano sarebbe stata imponente ed importante come l'enorme palude che ad acqua bassa arrivava fino al lontano ponte ferroviario. Ed alla moglie che lo stava ad ascoltare sorridente egli diceva: «Già, è certo che gli antichi Veneziani fecero la chiesa tutta bianca. Quando si trattava di cose simili essi non risparmiavano!». E non sapeva nulla della storia del paese che tanto amava. C'erano in casa dei libri che la signora Anna si procurava per far piacere al marito ma egli non aveva il tempo di leggerli. Non s'era levato tanto di buon'ora per lavorare? Guardò verso Venezia oltre la palude. Là sulla palude proprio - se egli fosse stato milionario - avrebbe fatto costruire una enorme Pietà in marmo pario che avrebbe riepilogato il tempio magnifico di marmo... che - forse - c'era stato una volta a S. Micel.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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