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      Nino, per quante volte venne in Serenella, con lui non discusse mai la questione. Alla cognata diceva ch'egli con Giulio non amava discutere di affari per non scontrarsi in tanti dubbi. «Eppoi» aggiungeva per indorare la pillola «son dubbi che vengono da mio fratello; son dubbi che vengono dalla mia
      razza e vi sono troppo accessibile». E gli ordini da Trieste sconvolgevano ad ogni tratto il piccolo posto. Avevano tenuto il primo anno due peate con le quali avevano eseguite da sé le proprie spedizioni. Dopo il primo anno si dovette mandarle in cantiere a ripararle e non appena ricevuto il conto delle spese, Nino diede ordine di vendere le peate perché aveva già dato ordine ad uno spedizioniere per affidargli il lavoro che fino allora avevano fatto con quelle peate. Allora Giulio credette i propri dubbi tanto fondati da poterli comunicare per lettera a Trieste. Sulla rivendita delle peate avrebbero perduto tanto e tanto e il costo di ogni spedizione sarebbe stato di tanto e tanto... La risposta da Trieste fu imperativa e le peate furono vendute per la metà del prezzo che avevano costato. Giulio restò per molto tempo del parere di aver avuto ragione lui e concludeva: «Uno di noi due non sa far di conti». La signora Anna non lo guardava perché egli non leggesse nel suo volto chi ella ritenesse non saper far di conti fra lui e suo fratello. Un giorno Nino spiegò che non si potevano tenere peate in un canale soleggiato da mane a sera come quello di Serenella e quando Giulio ne parlò ad amici di Venezia trovò che tutti s'accordavano nel dar ragione a Nino.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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