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      Poi ricordava il Brennero ed un inglese che spiegava a lui bambino in pessimo italiano che a piedi si avrebbe potuto raggiungere più presto la cima della montagna che con la ferrovia la quale vi si arrampicava con giri enormi. Poi Innsbruck e la neve, solo la neve senza un solo profilo di casa. La notte passata ad Innsbruck non esisteva più di quella di Verona.
      Certamente dopo Innsbruck molte ore dopo la partenza dovette essere avvenuta una scena che il vecchio uomo ritrovò nel ricordo: un proprio scoppio di pianto violento e padre e madre che volevano frenarlo e addolcirlo. Un grande dolore, la scoperta di una propria inferiorità. Il padre che si preparava a lasciarli soli nel collegio voleva cominciare subito con l'organizzare la vita dei due bambini. Armando, che aveva tredici anni, avrebbe dovuto dirigere Roberto che ne aveva solo undici e mezzo. Fino ad allora certamente non era stato così e da ciò la stupefazione e il dolore di Roberto. Perché Roberto era violento e veramente Armando s'era piuttosto lasciato dirigere da Roberto. Venivano inviati in collegio proprio per domare Roberto che appena messo il naso fuori del nido s'era dimostrato troppo forte per la debole madre (forse già allora malata?) e per il padre occupato il giorno intero nel suo ufficio. Il piccolo omino aveva trovato subito delle compagnie che non facevano per lui. Il padre e la madre non sapevano che cosa egli faceva nelle lunghe ore in cui non era né a scuola né a casa. Sapevano che si vergognava dei vestiti nuovi e che faceva del suo meglio per renderli subito stracci, che fumava e che sapeva una quantità di brutte parole.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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