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      Prestava dei denari ai suoi vecchi amici poveri senza domandare alcuna ricevuta. Il suo gesto generoso sottolineava ed accentuava il suo successo.
      Aveva un bambino di cui s'occupava poco ma che amava molto. Mutatosi in un uomo d'affari gli era rimasto l'egotismo del letterato. Non aveva tempo per altri e non poteva derivargliene un rimprovero perché era buono con tutti. Aveva elaborato delle idee di libertà per sua moglie e per suo figlio per le quali era esonerato d'intervenire troppo intimamente nel loro destino. Egli vedeva il bambino una volta al giorno. Non tollerava che giuocasse accanto a lui perché le sue idee erano turbate dai rumori puerili incomposti. Amava il figlio augurandogli tutto il bene possibile facendolo accuratamente sorvegliare e curare ed istruire dagli altri.
      Erlis aveva conservato un'altra abitudine dell'antico letterato. Camminava molto le vie. Il suo pensiero amava il ritmo del passo: Così era spinto e trattenuto e meglio analizzato.
      Un giorno, in Corso guardava distrattamente intorno a sé e calcolava come il prezzo di certi imballaggi in certi istanti modificavano il prezzo di una merce. Egli ritirava certe merci in vagone, le faceva imballare sul posto e le riesportava. Ora l'imballaggio era aumentato ma ciò non poteva avere altra conseguenza che di spingerlo alla ricerca di un utile maggiore ed egli sorrideva vagamente al suo utile e al suo successo.
      «Tu a Trieste?» gli disse qualcuno ch'egli aveva forse guardato ma non ravvisato. Lo riconobbe: Il vecchio Miller.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Corso Trieste Miller