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      Nessuno alla morte aveva ancora pensato. Se non ci fosse stata la febbre, essa avrebbe pensato che tutto quello ch'egli aveva detto fosse poco pensato, mancasse di vigore. Se lo spavento precedeva il pericolo allora lo spavento era più vero persino del proprio ch'essa sapeva grande e cui talvolta si preparava con mite rassegnazione.
      Poi la febbre diminuì ed egli alla morte più non pensò. Credette più fermamente nel termometro che nella propria tortura, l'affanno e il dolore.
      Quella sera Teresa cominciò lei a tremare. Era la mezzanotte e le due domestiche già dormivano. Dovette lei accompagnare il dottore alla porta. Qui il dottore, un uomo circa quarantenne, grave, un po' pesante, si fermò. Era imbarazzato. Davanti all'ammalato aveva parlato in un modo e s'era addirittura congratulato di aver trovato la febbre diminuita. Ora con la moglie egli doveva parlare altrimenti. Avvisarla ch'egli aveva saputo mentire, ma doveva mentire ancora. Il suo corpo pesante s'era ancora appesantito per l'esitazione della parola che doveva rivelare una parte della verità e non tutta. Poi in medicina c'erano tutte le prospettive ed egli diffidava di quelle che ora gli si presentavano. Si andava forse incontro ad una di quelle forme che si prolungano ostinate perché più lievi fino alla morte o a una di quelle guarigioni imperfette che trasformano tutto il resto della vita in quella di un condannato a termine, oppure si poteva sperare ancora in una crisi oppure in uno svolgimento più mite che pur tuttavia conducesse ad una guarigione intera?


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Teresa