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      La poca luce era più intensa sul letto dell'ammalato che giaceva sul fianco le braccia tese rigidamente, le mani congiunte così allontanate come se egli avesse voluto salvare una parte del proprio corpo da tanta angoscia. Anche la testa sul guanciale s'era spostata per indietro quasi perpendicolare alla schiena.
      Vedendola seppe abbandonare lo sforzo. L'aveva attesa soffrendo e, per un attimo, gli parve che poterle parlare significasse interrompere l'angoscia: «Che ti disse il dottore?» domandò facendo finalmente un movimento che non fosse imposto dall'affanno o dal dolore ma per vederla meglio. La cara figura dell'affetto. Era personificata dal suo e dal proprio affetto. Nella penombra bianca e bionda pareva trasparente. Oh, sì, un vero sollievo.
      «Nulla di speciale» disse Teresa dandosi da fare a drizzare il proprio letto.
      «Eppure ti trattenne a lungo. O forse son io cui pare che i minuti sieno ore?» Guardò l'orologio.
      «No, no» mentì Teresa. «Avevo dimenticato di lasciar fuori il caffè per domattina e dovetti andar in cucina.»
      Il malato non insistette. Il suo respiro era celere solo dopo ogni suo movimento che implicasse uno sforzo.
      «Coricati» disse alla moglie. «Farò del mio meglio per lasciarti tranquilla. È il momento d'intensificare il mio esercizio.»
      Ella finse di non aver udito tali parole; si sentiva salire alla gola dei singhiozzi e non sarebbe stato possibile di trattenerli se avesse voluto rimproverargliele. Disse semplicemente e assumendo un'aria di distrazione: «Non ho sonno.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Teresa Teresa