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      Vuoi che ti legga il giornale?».
      Neppure lui non ripeté quelle parole pentito di averle dette. Era un modo di torturarla anche quello di ricordare il proprio proposito. Rispose dolcemente: «Vorrei che tu subito ti adagiassi per dormire. Chissà? Forse sarò costretto di destarti e tutto quello che puoi guadagnare di sonno è un beneficio per te». Ed egli ebbe anche lo svago di poter rivedere se sul tavolo di notte ci fosse a portata di mano tutto ciò di cui poteva abbisognare. Il tempo andava via non riempito di sola angoscia.
      E fu molto bravo Roberto quella notte. Teresa dapprima tenne gli occhi aperti senza sforzo e saltava su ad ogni movimento del marito. Ma egli riuscì a immobilizzarsi. Quando voleva muoversi trovava un sollievo nella stessa propria resistenza. E diceva con risoluzione al male ch'egli aveva personificato in una persona che gli stesse accanto tanto immobile da non potersi ritenere ch'essa il male producesse ma di questo godesse: «Guarda, guarda, come sono superiore io che soffro a te che godi». Lungamente, finché molto tardi il respiro della moglie lo avvisò ch'essa s'era addormentata.
      Sì, essa s'era addormentata. Dapprima l'aveva tenuta desta la paura che le preoccupazioni del dottore fossero giuste e la speranza ch'esse fossero sbagliate. Che cosa sapevano i medici? La malattia? Forse. Non l'organismo però, l'organismo di ogni singolo. E ricordò certi insegnamenti di Roberto. Gli uomini avevano tutti gli stessi organi e con quegli stessi organi componevano ognuno di essi un organismo originalissimo che mai prima era esistito.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Roberto Roberto