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      Era il rantolo.
      Poco dopo la morte di Roberto Teresa ritornò a quel letto. Ecco ch'egli, irrigidito, appariva forte e sereno come un soldato che rispondesse all'appello. E lei, per cui la morte non finiva nulla pensò cercando una consolazione a tanto strazio: "Ecco che prendi la tua rivincita. Come sei bravo!".
      VLa sua morte fu proprio quello ch'egli non aveva voluto: lo spavento.
      L'associazione tanto intima di due persone d'indole tanto differente per quanto mitigata dal desiderio e dal rispetto deve finire coll'impartirle la fisionomia di uno dei due associati. Quella di Teresa e di Roberto portava le linee della faccia di Roberto. Teresa, indisturbata, aveva continuate le sue pratiche religiose, ma le era sembrato che il loro stesso contratto dovesse imporre anche a lei la stessa riserva di cui egli si vantava come di una manifestazione di affetto e la sua religione s'era privata del suo maggiore eroismo: il proselitismo. Chiusa nel suo petto quella religione s'era immiserita, isterilita. Forse, dall'altro canto, anche quella di Roberto aveva perduto ogni nobiltà mancandole la chiara intelligente manifestazione.
      E per lungo tempo Teresa esitante considerò l'orrore di quella morte. Egli aveva riconosciuta una colpa. Quale colpa? La sua irreligiosità. Ed essa pensò ch'egli all'ultimo momento si fosse convertito. Tutto quello che restò di Roberto sulla terra cioè nel cuore di Teresa si convertì. Si convertì silenziosamente. Solo la fià
      ProditoriamenteIl signor Maier si recò dal signor Reveni non ben deciso ancora se domandargli conforto o aiuto.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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