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      Dimostrava anche un grande disprezzo per gli affari di guerra e un giorno asserì ch'era troppo naturale che in tempo di pace fosse subito distrutto chi s'era abituato a lavorare in tempo di guerra. Mormorò anche: «Già se io avessi potuto comandare avrei fatto fucilare tutti quelli che durante la guerra commerciarono». Poi si ravvisò e, senza ridere, aggiunse: «Meno lei... naturalmente».
      Il timido giovinotto durante la guerra s'era fatto molto ardito. Ne ebbi paura dapprima. Come avrebbe atteso ai miei affari un uomo ch'era tanto fortemente intinto di bolscevismo? Ad ogni tratto sputava delle sentenze contro i ricchi. Lui e suo padre erano corsi in Italia coi loro titoli austriaci sotto il braccio. Senza pensarci altro egli era andato in trincea e quando finalmente gli riuscì di distruggere le trincee nemiche apprese che nello stesso tempo aveva distrutto anche la propria sostanza. Ciò lo amareggiò profondamente.
      «E vostro padre?» arrischiai io. «Lui, poi, era un uomo d'affari. Non come io che sono un commerciante di guerra né voi che siete un uomo d'arme».
      «Non ci pensò» sospirò l'Olivi. «Durante la guerra non fece altro che aspettare le mie notizie. Poverino!».
      Trionfalmente esclamai: «Anch'io aspettavo le notizie da Firenze eppure seppi anche attendere ai miei affari. Sta bene che causa quei maledetti saponi la mia sostanza non fu aumentata. Ma almeno non la lasciai distruggere».
      Con vera amarezza l'Olivi disse: «Sui membri della sua famiglia nessuno tirava mentre io mi trovavo in trincea». Pareva rimpiangesse che mia figlia non si fosse trovata in trincea.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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