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      E fu allora che mi rivolsi per consiglio ad Augusta. Non speravo mica ch'ella avrebbe saputo dirigermi. Ma era utile chiarire le proprie idee dicendogliele. Dapprima la trovai ancora inferiore di quanto avessi temuto. Diceva: «Ma non sei tu il padrone? Come può osare questo? Come può osare?». Se mi fossi messo a studiare come l'Olivi avesse osato tanto avrei impiegato bene il mio tempo. Fui un po' impaziente e per il momento ritornai al grammofono.
      Non ne avrei più parlato con l'Augusta se il giorno appresso essa, dopo pranzato, quando restammo soli, non m'avesse domandato: «Ebbene! Che hai deciso?».
      Le spiegai che io trovavo abbastanza giusto di concedere all'Olivi il 50% del beneficio. Ciò in quell'epoca non era mica la grande cosa perché non si trattava più degli utili prebellici o di quelli che avevo saputo realizzare io durante la guerra. Ora veramente urgeva che l'Olivi ed io dedicassimo ogni nostro potere alla ricostruzione della casa su altre basi. Ma se io dovevo collaborarvi perché non avrei ottenuto anch'io un onorario uguale a quello dell'Olivi?
      Mi era facile risolvermi a spiegare tutto ad Augusta. Quella bestia dell'Olivi rivolgendosi a Valentino che raccontava tutto a sua moglie la quale con la propria madre non aveva segreti m'aveva già esposto ad una sincerità assoluta.
      Augusta mi consigliò di domandare l'onorario doppio di quello percepito dall'Olivi. Io assentii gravemente ma subito pensai che all'Olivi non avrei domandato tanto.
      E feci uno sforzo disperato per allontanare dalla discussione Valentino.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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