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      Ipocrite erano le parole non l'atteggiamento deciso che proprio significava: La collaborazione che tu mi offri non vale un soldo.
      Ci fu da me ancora una piccola resistenza. Gravemente domandai: «Fino a quando lei mi lascia il tempo per darle una risposta?»
      Mi spiegò ch'erano già trascorsi otto giorni dacché la sua prima proposta era partita. Egli, volentieri, avrebbe atteso anche fino al bilancio che dovevasi chiudere alla fine del mese secondo il contratto vecchio, ma non poteva perché le persone con le quali trattava l'obbligavano ad una pronta risposta. La risposta io la dovevo dare l'indomani mattina. Egli voleva trattare con me francamente. Aveva consegnato a mio genero Valentino la lettera delle persone che volevano assumerlo alle condizioni stesse ch'egli da me domandava e mio genero me l'avrebbe fatta vedere quella sera stessa.
      Per due ragioni io diedi un balzo: Apprendevo che l'Olivi se non andava d'accordo con me s'apprestava a farmi la concorrenza eppoi (ciò che mi doleva di più) di nuovo un membro della mia famiglia veniva ammesso a queste discussioni che - a quest'ora lo s'intendeva all'evidenza - non potevano terminare per me che con una sconfitta.
      Balbettai: «Ma perché occorreva di mettere fra di noi degli estranei?».
      «Degli estranei?» rise lui. «Non è suo genero?».
      Mi ravvisai e mormorai: «È vero». Ecco un'altra cosa che non si poteva discutere. Era da perdere i sensi. Con l'Olivi soggiacevo sempre.
      Non osai più discutere ma ancora una volta, l'ultima, mi eressi come consigliava Augusta - la sola - da padrone.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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