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      Solo così era possibile di farmi usare dell'automobile di cui l'uscita dal garage si sentiva nel quartiere.
      Trovai l'Olivi al Tergesteo. Feci con lui una figura alquanto strana. Mi trovavo in uno stato di assoluta inferiorità con quel mio dipendente. Avevo fretta, non c'era tempo di pensarci e m'abbandonai senza ritegno alla mia passione: Quella di eliminare definitivamente da quell'affare mio genero.
      Gli dissi ch'ero disposto ad accettare tutte le condizioni da lui domandate a patto mi facesse una concessione, una sola.
      L'Olivi mi guardò esitante. Poi parlò anche, lentamente come faceva sempre quando trattava degli affari, col rispetto sciocco che egli ad essi portava come se potessero avere altra importanza che quella che derivava loro dal denaro che si voleva trarne, come se potessero essere scienza, arte, invenzione.
      E così in quel momento in cui mi comportavo come un bimbo imbizzito a me parve di essere molto superiore all'Olivi il quale con tanta lentezza e solennità voleva dirmi delle parole che non m'importavano affatto e ch'io neppure volevo discutere.
      Gravemente esordì dicendomi ch'egli, prima di presentarmi le sue condizioni le aveva ben studiate e che perciò egli non poteva concedere alcuna loro modificazione.
      Io urlai impaziente: «Ma se non penso di proporre delle modificazioni. A me importa tutt'altra cosa». E gli spiegai quello che desideravo: Che Valentino non potesse credere che il nostro accordo fosse frutto del suo intervento.
      L'Olivi non seppe celare un gesto di sorpresa.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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