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      Io dissi: «Se Valentino non si fosse intromesso certamente il contratto non sarebbe stato accettato così presto, ma così non è più possibile di ritirarsi».
      E dopo di aver detto quelle parole trovai un po' di pace per quella notte. Avevo trovato il modo di attribuire a Valentino dei torti che compensavano i miei.
      La firma del contratto fu dolorosa. Conoscevo tutte le clausole ma lette dal notaio mi parevano nuove. Una di esse, quella che stabiliva ch'io potevo intervenire nei miei affari con dei consigli ma che l'Olivi era libero di accettarli o rifiutarli.
      Io firmai subito. Poteva esserci anche una clausola che mi condannava a morte perché dopo di quella clausola che mi proibiva di pensare neppure ai miei affari io non seguii più la lettura del contratto. Pensavo invece all'odiosa azione che l'Olivi aveva commessa e con la quale aveva ferito tanto profondamente un povero vecchio come me. La lotta era finita. Perciò ora mi sentivo tanto debole e disarmato. Pensando alla mia debolezza e alla forza del mio avversario, mi pareva di aver ragione: Finalmente ero dalla parte della ragione, io povera vittima. E quel sentimento di essere una povera vittima innocente, che doveva accompagnarmi per tanto tempo e degenerare in malattia, nacque proprio lì, al momento di subire la lettura di quel contratto.
      Poi volli correre via. Mi parve dovessi allontanarmi dall'Olivi per fortificare il mio pensiero nella solitudine e dedicarlo alla vendetta. Strana quella furia di allontanarsi dall'avversario per accingersi a punirlo.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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