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      Mi colpì l'oro dei suoi occhiali dai quali pendeva un cordoncino d'oro che per arrivare ad una buca del gilè passava dietro all'orecchio. Osservai quel cordoncino forse perché era una cosa tanto pedantescamente ordinata che mi parve l'unica cosa che in quell'uomo fosse veramente da notaio.
      Alzò la voce: «Ma il contratto è già fatto e bollato. Non capisco come si possa pensare di alterarlo».
      L'Olivi intervenne con voce molto seria e tanto serena che mi parve contenesse tutta la minaccia dell'uomo fortissimo, sicuro di sé. «I bolli non hanno importanza» disse. È bensì vero che io le avevo dato tempo per rifletterci fino a ieri alle otto della mattina. Ma non importa. Io troverò sempre a mia disposizione i contraenti su cui contavo pronti a firmare con me questo stesso contratto. Se lei lo vuole, signor Zeno, stracciamo questo contratto. Io non ci tengo. Le ridò tutta la sua libertà. Ma però esigo di avere in confronto anch'io resa la libertà subito oggi. Da oggi io non rimetterò più piede nel suo ufficio».
      Mi girò la testa. Stavo sforzandomi di rassegnarmi di perdere l'ufficio. Ecco che da un momento all'altro mi veniva proposto di riaverlo intero con tutte le sue noie, le sue responsabilità, e tanta schiavitù. Come potevo da un momento all'altro ritrovarmi in tale nuova posizione? Non era possibile, questo intesi subito. E vedendo che l'Olivi, deciso, stava avvicinandosi al tavolo ove giaceva il contratto, forse per stracciarlo, urlai: «Il contratto è ormai firmato e tocca a lei, signor notaio, di difenderlo.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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