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      Esitai per un istante nel dubbio se non avessi dovuto andarci, per giungervi prima dell'Olivi e fare atto di padrone aprendo la posta. L'idea mi parve tanto originale che mi volsi per risalire la via. Ma poi mi ricredetti. Non avevo stabilito che poiché non mi si concedeva una paga io non avrei lavorato? E mi misi a correre nell'altra direzione per il timore che essendomi riavvicinato all'ufficio del notaio potevo imbattermi di nuovo nell'Olivi. E accelerando il passo pensai una cosa strana: "Dio mio! Ecco che già faccio qualche cosa".
      Come in quel momento amavo l'attività. Intanto l'attività che di solito m'incombeva in quell'ora. Com'era bello aprire la posta! Si levava dalla busta una carta e non si poteva prevedere quello che contenesse. L'aspettativa era una bella cosa seguita molto spesso dalla noia o dall'ira. È vero ch'io di solito, dopo dieci lettere, non ne potevo più e lasciavo che l'Olivi facesse il resto. Ma ciò significava che avevo esaurito un piacere.
      Sempre camminando verso il mare decisi di non dire subito ad Augusta ch'io non volevo rimettere il piede nel mio ufficio. Sarebbe equivalso a confessarle ch'io con quel contratto ero stato proprio gettato fuori del mio ufficio. I primi giorni avrei trovato qualche cosa da fare fuori di casa. Poi le avrei detto che non potevo più sopportare la vista dell'Olivi e che perciò non avrei più rimesso piede nel mio ufficio.
      Intanto dovevo ripararmi dalla pioggia e m'avviai verso il Tergesteo. Ma poi m'imbattei in Cantari, un rappresentante di fabbriche germaniche di prodotti chimici.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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