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      Nessuno fiatò probabilmente tutti desiderosi di assistere ad un'esperienza tanto strabiliante che a loro non costava nulla. Ed io m'adattai soffrendo e celandolo. M'ero compromesso dapprima con mia moglie e mia figlia cui avevo gridato il mio volere per spaventarle o per punirle, poi, al telefono anche col dottore sempre allo scopo di spaventarle e punirle meglio, e finii contro ogni mio desiderio sul tavolo d'operazione. Poi venne quella foruncolosi che mi tiene in camera da un mese.
      Ma del resto la vecchiaia è il periodo calmo della vita. Tanto calmo ch'è difficile registrarlo. Da quale parte afferrarlo per descrivere quello che precorse all'operazione? Dopo è facile. L'aspettativa della giovinezza voluta dall'operazione fu una specie di giovinezza, qualche cosa ch'ebbe la facoltà di creare un periodo tant'è vero che io so descriverlo coi suoi grandi dolori e grandi speranze. Ed io vedo ora la mia vita iniziarsi con la mia fanciullezza, passare alla torbida adolescenza che un bel giorno s'acquietò nella giovinezza - qualche cosa come una disillusione - la quale poi piombò nel matrimonio, una rassegnazione interrotta da qualche ribellione, e passò alla vecchiaia di cui la caratteristica principale fu di farmi entrare nell'ombra e togliermi la parte di protagonista. Per tutti, per me pure io oramai vivevo perché gli altri, mia moglie, mia figlia, mio figlio e mio nipote avessero maggiore rilievo. Poi venne l'operazione e tutti mi guardarono con ammirazione. Io m'agitai, ritornai a qualche tratto di vita, molto simile a quelli ch'erano i miei propri, voglio dire quelli di quella vita che non aveva avuto bisogno di operazioni, la naturale, quella che hanno tutti, e l'agitazione finì col portarmi a questa carta che mi pare non avrei mai dovuto abbandonare.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387