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      Si capisce che un impiegato non possa intendere un artista... E neppure un medico lo può».
      In quanto a Carlo che aveva ereditato da suo padre Guido tanti difetti ma non la mancanza di spirito che lo rovinò, capace come era stato di fare i bilanci più ridicoli senza saperne ridere, se la cavò con indifferenza nell'atto di portare il bicchiere alle labbra: «Certo, noi medici degli artisti non possiamo intendere che gli accidenti che li colpiscono di tempo in tempo. È vero che allora finalmente non sono più artisti e non rompono le tasche al prossimo».
      Valentino tacque. Era un timido. Da qualche giorno s'era occupato dei miei bilanci e credeva proprio di essere stato delegato a sorvegliare il buon andamento di tutta la famiglia. S'era ingannato ed era dispostissimo a ricredersi dopo una timida protesta rivolta ad Alfio: «Io non posso dire altro che i consigli che mi sono suggeriti dalla mia esperienza».
      Ma Emma fu terribile. Di solito essa era abbastanza materna per Alfio, ma ora vedeva attaccato il proprio marito. Le pareva un atto di disprezzo verso il proprio marito anche la leggerezza superficiale con cui Carlo parlava della cosa cui Valentino s'era dedicato con tanta gravità. Si fece violenta perché rimproverò me che lasciavo tanto libero di fare delle sciocchezze al mio figliolo (io alzai le braccia in alto come per invocare l'aiuto di Dio) e rimproverò Alfio di credersi superiore a qualcuno a questo mondo: Una presunzione di cui prima o poi si doveva pentire. Perché non voleva finire almeno i suoi studii medii?


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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