Pagina (261/387)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Appenderò il tuo lavoro sulla parete del mio studio e lo guarderò ogni giorno. Finirò coll'intenderlo anch'io. Io sono meno cretino di quanto mi credi. Sono vecchio, questo è certo. Ma perciò ho qualche esperienza. È vero che di pittura mai mi occupai. Ma di musica. Arrivai recentemente persino a sopportare Debussy. Non ad amarlo. Mi pare faccia delle cose che sono esplose poco prima per lo scoppio di una bomba. Fumano quei frammenti ancora ma fra di loro non c'è altra analogia».
      Io credo ch'egli si sia deciso a compiacermi in seguito al mio sproloquio su Debussy.
      Risoluto fece la sua cifra: Ottocento lire.
      Io trassi di tasca una carta da mille e con l'aspetto dell'uomo d'affari accurato gli dissi: «Mi devi duecento lire». Poi simulando una certa impazienza: «E il lavoro?».
      Mi diede le duecento lire. So, che coi denari egli ha un'accuratezza che non sta in relazione alle sue idee scomposte sulla ricchezza. In questo mi è superiore di molto ed io mi compiaccio di tale sua superiorità ch'è molto ammirata da sua madre. Non spende nulla ciò che potrebbe avvicinarlo ai suoi simili poveri, ma ha il portamonete sempre ben fornito ciò ch'evidentemente ne lo allontana.
      In quanto al lavoro non ancora si decise di darmelo. Me l'avrebbe portato di lì a dieci minuti. Voleva scegliere il miglior lavoro che avesse. Evidentemente per pudore non voleva farmi vedere i suoi imparaticci.
      Andai alla porta, ma poi ritornai a lui. «Vedi» incominciai «noi due siamo soli a questo mondo». Mi fermai spaventato di aver la stessa parola che con tanta maggior verità era stata detta da mio padre e mi corressi.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Debussy Debussy Ottocento