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      Quando gli si manifestava un proprio desiderio, se non collimava col suo, si faceva sordo. Una volta - lo ricordo come se mi fosse avvenuto ieri perché le grandi rabbie non si dimenticano più - io ero atteso da una donna che s'era potuta far libera per me alle sei di sera per un'ora soltanto. Alle tre commisi la leggerezza di montare in un calesse guidato da lui ed egli mi condusse a Lipizza. So ch'era una magnifica, chiara giornata autunnale ma io la ricordo oscura, piena di rabbia.
      A una data ora si sarebbe potuto arrivare con comodità in tempo a Trieste, ma ad onta delle mie esortazioni egli, senza dirmelo, mi condusse a passeggio per il Carso, di cui io so tanto poco che credevo d'essere avviato verso Trieste. Quando arrivammo a Trieste io mi trovai in mezzo alla piazza ove egli mi sbarcò rammaricato dal desiderio e dal rimorso. E pieno d'innocenza Orazio mi disse: «Avresti potuto avvisarmelo al momento di partire». Io gliel'avevo detto ma era una di quelle cose per cui egli era sordo. Il tutto era avvenuto - come lo seppi poi - perché il veterinario gli aveva detto che il suo cavallo aveva bisogno di fare un dato numero di chilometri al giorno.
      Ora ch'era ritornato a Trieste mi assicurò abbattuto che dopo tanta vita e tanti dolori mancava assolutamente di volere. Io l'assicurai dal canto mio ch'io non ero più l'uomo debole ch'egli aveva conosciuto. Io non seppi credergli perché quel giorno stesso mi parve d'essere tornato con lui a Lipizza ma trottando io stesso invece che facendomi portare dal cavallo.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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