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      Volle l'accompagnassi di qui e di lą. «Ti accompagno poi a casa» mi diceva e intanto andammo da una Societą d'Assicurazione ove egli doveva fare la dichiarazione che aveva cambiato domicilio, da uno speditore che aveva ancora in deposito qualche suo mobile e infine m'inflisse il vecchio Ducci. Il vecchio Ducci era rimasto sempre a Trieste come me, ma dalla nostra uscita da scuola a 18 anni non avevamo scambiato una parola. Io mi ricordavo che l'ultima volta che ci eravamo visti egli m'aveva detto che voleva andar a cercar fortuna al Giappone. Poi nella nostra piccola cittą ci eravamo visti quasi ogni settimana e ci eravamo salutati senza mai scambiare una parola. Inoltrandosi negli anni il nostro saluto si fece sempre pił gentile. Creava fra di noi una certa intimitą il fatto ch'eravamo soli in cittą a conoscerci da tanti anni. Ed io trovai naturale avesse rinunziato al Giappone avendo trovato la fortuna a Trieste. Ecco che ora eravamo in tre su quel marciapiedi su cui gravavano circa due secoli d'etą. Ci guardavamo con simpatia negli occhi fattisi un po' vitrei ed io dimenticai per un momento la mia impazienza. Si rifece viva solo quando appresi che Ducci non si ricordava di aver mai avuto il proposito di recarsi al Giappone. Dio mio! Tutto si ribaltava a questo mondo per me che per tanti anni quando m'ero imbattuto in quell'uomo avevo pensato: Ecco l'uomo che quasi andņ al Giappone. Che ci fosse stato un errore da parte mia e che qualcun altro, cinquant'anni or sono, m'abbia detto di voler emigrare?


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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