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      Eppoi tu non sapresti uscire dalla palude da solo. Non vedi che sei nel fango fino ai ginocchi?». Mi volse il dorso e s'avviò.
      Era un modo per costringermi a seguirlo ed io tentai di non obbedirgli. Ma veramente correvo il rischio di annegare. Con uno sforzo saltai dal fango e arrivai al viottolo ch'egli seguiva. Non c'era altro da fare che rassegnarmi per l'ultima volta alla sottomissione. E feci un voto: quando in futuro egli andasse al Boschetto io m'avvierei a Servola. Là si tratta di suolo duro.
      Camminammo per un dieci minuti, poi, tutt'ad un tratto, egli s'arrestò e scoppiò a ridere. «Sei un bel tipo tu!». Il riso, poi, quasi lo ribaltò. Arrivava a smozzicare qualche parola: «Io tiro... tu tiri... come se fosse la stessa cosa». E dopo aver acceso un cerino. «E adesso sei tu ad averla con me». S'appiccò al mio braccio accarezzandolo. Ed anch'io finii col ridere con lui. Sarebbe stato sciocco di cessar di fumare ad un'ora ignota.
      Una risata, quella sì, non è mai perduta. Tanto più che ora la ritrovammo intera, aumentata. Nel vecchietto magro, dalla piccola figurina sempre bene eretta ma non per vigoria che vi fosse insita ma perché non c'era bisogno di alcuno sforzo di tenerla così, debole e lieve com'era, finché qualcuno per svista non l'avrebbe abbattuta con un urto, la testa ancora parzialmente coperta di capelli bianchi, molto meglio della mia, ma non abbastanza per celare il rossore della pelle di sotto io trovavo il mio amico addolcito, meno pericoloso. Certo non aveva l'attenzione che aveva avuta in gioventù di maestro ad esempio ma piuttosto proprio quella di un maestro che non ha più da insegnare nulla e che può dirsi contento di essere trattato da pari a pari.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Boschetto Servola