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      «Delle case a cavallo» disse Orazio e infatti scoperse sotto ad una di quelle case qualche cosa che somigliava al ceffo di un cavallo.
      Ma io sentii che da quel giorno le mie relazioni con Alfio furono peggiorate. Io feci di tutto per migliorarle, soltanto non seppi dirgli che la sua pittura mi piacesse. M'aveva dato della bestia, sia pure solo in pittura. Non potevo mica dirgli: «Sì, io sono una bestia sia pure solo in pittura». Gli feci la corte, gli diedi del denaro, lo accarezzai, innumerevoli volte lo baciai sulla guancia mentre egli baciava l'aria. Non servì a nulla perché mai più osai di parlargli della pittura. «Hai dipinto bene?» un giorno gli domandai avendolo incontrato con la sua cassetta e la sua mappa che ritornava a casa. «Faccio quello che posso» e corse via. Aveva proprio paura gli domandassi di vedere qualche cosa dei suoi lavori.
      Mi parve duro a sopportare il suo contegno. Tutte le teorie ch'io avevo tratte dai miei rapporti con mio padre qui non servivano più perché io, con mio padre, m'ero comportato tutt'altrimenti. Tuttavia continuai ad essere dolce, cortese. A tavola quando c'era una discussione io ero sempre dalla parte di Alfio. Quando mi domandava del denaro gliene davo senza batter ciglio. Gli dicevo solo delle parole dolci. Certo dovevo avere un aspetto strano poco affettuoso. Intanto che l'accarezzavo urlavo dentro di me: "Come son buono, come son buono!". Il sentimento di essere tanto buono minaccia di portarci ad essere meno buoni.
      Io credo anche che non si sia ritornati a migliori rapporti con lui perché egli veramente dava poco peso ai suoi rapporti con me.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Orazio Alfio Alfio