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      E modesto! Cantare tanto senza pubblico.
      E intanto che Antonietta piangeva io pensavo a quell'ubbriacone che aveva sciolto con tanta facilità il problema della vita. Di giorno il lavoro e la sera - non la notte - musica! Le lievi note s'allontanarono e sparvero.
      «Poverino!» singhiozzò Antonietta.
      «Chi?» domandai io temendo assai parlasse ancora di Valentino.
      «Quel poverino che canta con tanta tristezza sul viottolo» mormorò lei. «Deve aver perduto qualcuno e si consola col vino».
      A me sembrò esagerato di credere che tutti quelli che si ubbriacano lo facciano perché hanno perduto qualcuno, per quanto non sarebbe impossibile di crederlo con le tavole statistiche alla mano. Ma le fui molto grato di aver parlato del povero musicante solitario e non del defunto Valentino. Mi poggiai anch'io più dolcemente su lei e con uno slancio generoso le proposi di abbandonare la sua casa derelitta e venir a stare da noi con Umbertino. Dapprima Antonia rifiutò con tanta violenza ch'io non osai d'insistere. Ma Augusta aveva levato la testa e mostrava la sua faccia netta d'abbattimento: Vedeva enunciarsi un accordo e ciò era per lei lo scopo principale della vita. Soffriva che tutti abbandonassero Antonia mentre avrebbe desiderato che tutti si fossero seduti al medesimo tavolo per piangere eternamente con lei. Qualche mese dopo anche lei si ribellò ma non mica perché le mancassero le lacrime con cui associarsi alla figliuola ma perché questa non voleva saperne di tutte le bestie cui Augusta si dedicava e intendeva di allontanarle dalla casa.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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