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      Certo, io cominciai ad amarlo quando mi limitavo a guardarlo di tempo in tempo. Andavo una volta al giorno da mia figlia e mio genero e vedevo crescere il piccolo eroe, bello e biondo, che aveva due qualità negative simpatiche: In presenza d'altri non voleva dire certi versetti che gli avevano insegnato a memoria, né voleva lasciarsi baciare da stranieri. Io non lo baciavo né m'importava di sentire le sue poesie. Gli portavo ogni giorno la stessa piccola scatolina di dolci. Non gli volevo ancora abbastanza bene per cercare di sorprenderlo con doni nuovi e andando da lui macchinalmente mi fermavo per un istante nella stessa vicinissima bottega. Vidi che aspettava abbastanza ansiosamente il dono. Un giorno sorprese Antonia facendole vedere che si potevano mettere insieme quelle scatoline in modo da fare una casa, la casa del nonno che vi potrebbe capire se gli si tagliasse via una parte del corpo, anzi tutto il corpo meno la testa. E il piccolo omino guardava la mia testa eppoi la casa per stabilirne il rapporto. Antonia obiettò: «Vuoi davvero il nonno morto? Con la testa non potrebbe respirare».
      Il piccino mi guardò studiandomi: «Non vedi che respira con la sola testa?».
      La grande fantasia del piccolo uomo m'inquinò. Ebbi una notte dell'affanno e tale affanno ricreò in un sogno orrendo l'idea di Umbertino. M'avevano portato via tutto il corpo e non restava di me che la sola testa poggiata su una tavola. Parlavo anche, e sopportavo tutto come se volessi eseguire il volere di Umbertino.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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