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      Un disordine enorme. Vuole in movimento il grammofono ma contrariamente al gusto di tutti gli amatori il disco gli sembra troppo lungo. E se riesce a mettervi su le manine lo arresta e, se ci arrivasse, lo fracasserebbe. Quando io glielo impedii la prima volta mi domandò con piena ingenuità: «Ma nonno, perché non vai di là?». Tanto gli pare ingiusta una diminuzione della sua libertà che crede la mia presenza accanto a lui casuale, illegittima. Ma quel bambino è una vera protesta contro il padre suo. Io credo sinceramente che anche l'eredità talvolta non sia altro che un gesto d'impazienza per cui la razza vecchia viene dimenticata e ne viene inventata una del tutto nuova. In casa io non amo di restare solo con Umbertino. Quando il bambino è solo e disoccupato si fa molto aggressivo. Io non so raccontargli delle storie. Il povero Valentino (con quella fantasia!) sapeva parlargli per delle ore. Io assistetti talvolta a tali racconti. Il bambino era tra le braccia del padre e guardava immoto la bocca da cui colavano le invenzioni che lo beavano. E Antonia che, rapita anch'essa, stava ad ascoltare, mi disse: «È già la quinta volta che sente la stessa storia». La voleva lui quella storia, quella della fata che va da tutti i bambini per scegliere il migliore, e scopre che tale era uno di essi che si credeva il peggiore. Noi adulti, quando ci viene detta per la seconda volta la stessa storia, la interrompiamo impazienti. Ma il mio bambino domandava la ripetizione dell'avvenimento. Come la fata attraversava il bosco le piante s'inchinavano a salutarla.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Umbertino Valentino Antonia