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      Lo scorgemmo gettato contro la rete sulla quale, anziché sul guanciale poggiava la testa. Aveva le guancie in fuoco, e - o mi parve - la respirazione più celere del solito. Antonia s'accinse a drizzarlo e il bambino si lasciò fare mormorando però: «La mangio... ecco... è di nuovo intera». Antonia rise: «Un delirio che gli proviene dal nonno». Ma io ebbi il cuore un po' pesante.
      Sì! È un po' ansioso Umbertino. Nella sua breve esistenza fu già minacciato ed anche punito. Ma poi è certo che la paura è una qualità della carne. È come una protezione che la involge già quando arriva all'aria. La travia ma certamente la protegge. E nel piccolo Umbertino c'è la paura dei leoni che non ci sono e anche dei carabinieri che di lui mai si curano e speriamo non abbiano a curarsi mai. Quando li vede procede più silenzioso. Sa che sono incaricati di una sorveglianza e sa ch'è una sorveglianza più dura di quella cui fu sottoposto lui, assidua, un po' noiosa ma accompagnata di carezze e di dolci. Non è mica sicuro che i leoni non arrivino una volta o l'altra anche a Trieste e che i carabinieri s'avvedano di questo bambino che talvolta provocò l'ira del padre e del nonno e anche le lacrime della madre.
      Le ire del nonno furono sempre brevi e subito dopo accompagnate da dolci spiegazioni, rimproveri indirizzati tanto a lui che a me stesso ma questi in un soliloquio che mi dava bontà ma non vergogna. Si camminava tanto bene insieme per tutte le vie della città, io molto meno distratto di lui perché richiamato alla realtà da una minaccia d'automobile o dall'ammirazione per quel bambino dalla testa ingombra da sciocchezze.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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