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      Aveva trovato l'immagine atroce e come la disse a me l'avrebbe detta ad Antonia stessa. Spiegava tutto tale immagine ed egli aveva la massima che a questo mondo era importante d'intendere tutto.
      Io sono stato il primo ad accorgermi di tanta speranza. Ne parlai subito a Carlo ch'è più spesso con me. Carlo col suo fare sicuro mi disse che i miracoli a questo mondo non potevano ripetersi.
      «Quali miracoli?» domandai io stupito.
      «Il miracolo di Valentino che sposò Antonia».
      Io fui offeso. Che miracolo occorre per sposare una delle più belle donne di Trieste? Era stata la gioia della nostra famiglia quella bella bambina, il gioiello nostro, l'ammirazione di tutti i nostri amici, e ancora adesso quando si parla di lei, la si qualifica di bella, bella come la zia Ada, mentre la figlia di Ada che è a Buenos Aires è brutta com'era brutta la mia cara Augusta. Ogni essere è composto di bruttezza e bellezza; bisogna lasciargli il tempo per manifestarsi tutto.
      E per ritorcere l'offesa raccontai a Carlo della proposta del Bigioni al quale avevo promesso di non parlarne che con Antonia. E Carlo rimase tanto stupito che lasciò cadere la sigaretta a terra. Si mise a ridere: I miracoli si ripetono. Da allora, compreso Carlo, tutti noi sopportammo meglio la compagnia del Bigioni. Tutti lo circondammo della nostra protezione, tutti lo sopportammo ed amammo, meno Antonia ed Umbertino.
      Il Bigioni (che buona idea di annotare più volte tale nome) agì da quella persona ch'è, cieco per tutte le cose meno che per il proprio desiderio.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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