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      Si era ritornati dal cimitero dopo aver sepolto il povero Valentino, io, Carlo, Alfio e il Bigioni. In vettura il Bigioni si comportò benissimo. Parlò solo della sua lunga amicizia con Valentino e compianse vivamente la sua fine immatura. Aggiunse anche l'osservazione: «Che farò io ora senza di lui?». Qui però io sono sicuro ch'egli sorrise. Ne sono sicuro. Allora mi parve una contrazione nervosa della bocca perché non supponevo che fosse quello il momento di sorridere. Pioveva dirottamente ed eravamo tutti bagnati. Valentino era appena sotto terra. Anch'io aveva un po' sorriso figurandomi Valentino il quale arrivato nella cripta assaltato subito dai morti che lo avevano preceduto, col gesto che gli era abituale avrebbe detto: «Adagio, ve ne prego». Ma in me tali sorrisi fuori di posto non possono essere messi in alcuna relazione con un malanimo. Mentre il Bigioni dopo di aver sorriso si lisciò con grande voluttà la grossa barba bionda e si passò la mano sulla testa calva. Gesti molto simili a quelli delle fiere dopo la soddisfazione di un buon pasto e che io non seppi interpretare finché il Bigioni non scelse proprio me a confidente. Egli voleva sposare la moglie del morto e perciò aveva cominciato col mettersi nella carrozza della famiglia.
      E da una parte fu una cosa ridicola di raccomandarmi tanta discrezione al momento di confidarsi in me visto che prima di mettermi a parte dei suoi propositi li aveva comunicati per svista nientemeno che ad Umbertino subito quel giorno stesso, ancora tutto bagnato dall'acqua presa al funerale del padre.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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