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      Veramente quella vasta casa pareva vuota. Era stata invasa poco prima del funerale da una folla di parenti ed amici che ci avevano abbandonati al cimitero e ci avevano lasciati rincasare soli. E il Bigioni guardava serenamente intorno a sé. Quanto spazio v'era là per lui, anche troppo. Si sentiva tanto sicuro che forse meditava di subaffittare una parte di quel quartiere non appena fosse stato suo.
      E vedendo piangere Umbertino che Antonia era riuscita a rattristare proibendogli di giuocare il giorno dei funerali del padre, lo trasse a sé e lo baciò ad onta che il fanciullo facesse del suo meglio per sottrarsi a quel barbone a dire il vero ben pettinato e non ispido, e gli disse ch'egli doveva essere contento perché pioveva.
      Era un segno che il Cielo s'apriva largo a ricevere il povero padre suo.
      Io conosco un altro detto triestino secondo il quale è segno di buon'accoglienza in Cielo per il morto anche il bel tempo. Piena di buona gente la mia città. In quanto dipende da loro tutti i morti trovano una buona accoglienza in Cielo.
      Il fanciullo si fece molto serio. Intravvedeva una nuova macchina da studiare, quella del Cielo come gli veniva presentata dal Bigioni. E vedendolo tanto serio il Bigioni volle consolarlo anche meglio e gli disse tutto: «Eccoti senza padre. Come ti piacerebbe di avere un altro padre, me per esempio?»
      Anche questa era una parola che Umbertino non poteva dimenticare. S'allontanò da quel barbone intanto. Ma poté, in presenza di sua madre e senza ch'essa se ne accorgesse, giuocare proprio anche il giorno del funerale del padre.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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