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      Giuocò con quel Cielo. Rimaneva chiuso per giorni e giorni e i morti aspettavano di fuori finché non pioveva. Alle prime goccie ecco s'apriva e tutti entravano in folla.
      Ma ebbe un dubbio e domandò alla madre: «E se non piove quando uno muore, resta perciò escluso per sempre dall'entrata nel paradiso o aspetta solo all'ingresso?». La madre si destò dal torpore in cui l'aveva gettata la disperazione e domandò delle spiegazioni. Le ebbe e poté anche apprendere chi avesse sconvolto le idee a quel modo al povero bambino. Si rivolse allora con bontà al Bigioni e lo pregò di non dire cose simili al fanciullo. Con grande bontà perché fino ad allora il Bigioni non le era apparso quale aspirante all'eredità di Valentino ma quale il suo più intimo amico e perciò era trattato meglio di tutti, meglio del padre, della madre, del fratello e del cugino.
      Umbertino eliminò quella storia del Cielo e della pioggia. È la grande facoltà dei fanciulli quella di saper eliminare. Ah! così! Non c'è relazione fra le porte del Cielo e la pioggia? Quel signor Bigioni s'era sbagliato e non occorreva parlarne altro.
      Ma gli restava un altro giocattolo: Quello del secondo padre. Al momento di coricarsi s'informò dalla sua bambinaia: «Quanti padri poteva avere ciascuno a questo mondo?». La vecchia bambinaia disse che se ne poteva avere uno solo a meno che non si volesse rinascere. Questo di nascere una seconda volta era anche un pensiero grazioso col quale si poteva giuocare. Umbertino ci dormì su ma non dimenticò. E alla mattina Antonia ebbe un bel da fare per levare da quella testina tante originali trovate.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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