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      E nello stesso tempo studiavo me stesso con una certa ansietà. Davo prova di cecità non capendo nulla? Credetti d'intendere tutto. Era più difficile per me perché non potevo pensare - per associarmi a lui - alla stessa sua donna ch'era mia figlia, ma dovevo scoprire per fare l'esperimento un'altra donna. E pensai ad una donna bella e grande - come diceva l'Aretino che se ne intendeva - che incontro talvolta e per la quale m'assoggetto persino ad inforcare gli occhiali per vedere meglio da lontano. Tutta un'armonia, una forza, un'abbondanza di forme senz'eccesso, il piede non piccolo però ben calzato e la caviglia piccola in proporzione. Insomma una donna che può apparire unica per più o meno lungo tempo.
      Intendevo tutto e le confidenze del Bigioni perciò mi fecero piacere. Dovetti moderare la sua impazienza, spiegargli che in una famiglia come la nostra, i lutti si tenevano per lungo tempo. Poi sarebbe stato l'affare di Antonietta di decidere. In quanto a me io volentieri e amichevolmente gli stringevo la mano e gli promettevo il mio soccorso.
      Ma poi le sue confidenze si ripeterono troppo di frequente. Egli veniva a cercarmi ogni qualvolta Antonietta lo trattava troppo freddamente. Io anche per qualche tempo mi prestai: Mi pareva ch'egli definitivamente volesse abbandonare la nostra casa ed io avevo le mie buone ragioni per trattenerlo. Fermavo il grammofono se giusto lo avevo fatto andare e mi rassegnavo. A dire il vero seguivo il pensiero musicale che avevo dovuto interrompere e lasciavo che l'altro continuasse a parlare.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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